Presentazione

Luigi Giglioli
un prete, un giornalista, un uomo



Testimone di una tragedia: così appare il protagonista di questo libro. Un testimone casuale, come altri; ma lui non si comportò come altri: questo libro attesta che egli si mise d’impegno ad alleviare per quanto possibile le conseguenze dell’accaduto. A me pare che così facendo egli abbia dimostrato con quanta serietà e convinzione vivesse la sua fede, quella fede che l’aveva portato in seminario, e poco dopo la tragedia a ricevere l’ordinazione sacerdotale.
Da allora trascorsero trent’anni, prima che io avessi il privilegio di conoscere monsignor Luigi Giglioli: una conoscenza ahimè lontana da quella profondità che – l’ho compreso troppo tardi – egli poteva offrire e a me poteva giovare, e tuttavia una conoscenza sufficiente a colpirmi, sin dal primo incontro. Egli era allora direttore del settimanale diocesano “La Cittadella”, e un giorno, con la presunzione dei giovani, gli scrissi per contestare certi aspetti, tutto sommato marginali, del numero appena uscito. La mia intendeva essere una lettera privata; ma con mia sorpresa egli la pubblicò, degnandola anche di una risposta. Fu la risposta, a colpirmi: invece di liquidare i miei rilievi come avrebbero meritato, cioè manifestandone l’inconsistenza, egli si spese in una diffusa, pacata, quasi affettuosa esposizione delle ragioni del suo operato, tuttavia concludendo che comprendeva le ragioni mie, e da allora avrebbe cercato di tenerne conto.

Sorprendente: uno scrittore e giornalista di matura esperienza, pronto a prendere in considerazione l’ultimo arrivato. Mi colpì tanto, da andare di persona a scusarmi; egli mi trattenne in una lunga conversazione, dalla quale scaturì una mia regolare collaborazione al giornale. E seguendolo da vicino mi resi conto che quel primo atteggiamento verso di me non era stato occasionale: era il suo stile, nasceva dal cuore, esprimeva la fede che invita a considerare tutti con la massima attenzione, in nome della comune dignità di figli di Dio. Chi avesse guardato a “La Cittadella” senza pregiudizi, a quel che il suo direttore decideva di pubblicare, al diverso rilievo dato ai diversi articoli, al suo puntuale articolo di fondo, avrebbe potuto cogliere i tratti di un uomo equilibrato, che affrontava la realtà con occhio penetrante, ne coglieva i lati positivi ma senza tanto magnificarli, non ne nascondeva i lati negativi ma senza farli oggetto di morbosa curiosità. I protagonisti della cronaca, fosse quella politica sociale o religiosa, per lui erano tutti meritevoli di attenzione, ma mai esaltandoli se operavano bene, nella consapevolezza che erano uomini e dunque fragili e domani soggetti anch’essi a sbagliare, né mai condannandoli se agivano male, nella consapevolezza che anch’essi erano amati dal loro Creatore e domani potevano sempre riscattarsi.

Una lezione di vita, quella di monsignor Giglioli; una lezione impartita non mettendosi in cattedra ma vivendola lui per primo; una lezione nata da quella che a me pare la sua dote peculiare: un’acuta intelligenza, permeata di umiltà e illuminata dalla fede. La si può cogliere anche dai suoi libri: quelli nei quali ha parlato delle sue esperienze di cappellano militare (Cinque mesi da Tobruk a El Alamein; Smorfie tra i reticolati) e quelli che hanno per oggetto i suoi confratelli nel sacerdozio (Un uomo di Dio. Ricordo di don Adamo Sandrini; Preti allo specchio; Colletti e collari). Per non dire di quell’opera monumentale che è Cento anni cinque testate, 1977-1987: otto volumi, nei quali, ripercorrendo le vicende della stampa cattolica mantovana, trova modo di trattare con raro equilibrio un secolo di storia locale, nel contesto di quella nazionale e internazionale.

Dell’impresa egli poté vedere pubblicati soltanto i primi due volumi, lasciando gli altri manoscritti. E’ toccato a me il privilegio di dare questi ultimi alle stampe, e dovendo di necessità esaminarne con attenzione i contenuti ho preso ancor meglio coscienza delle linee-guida del suo scrivere e del suo operare. A capo del primo volume egli aveva dichiarato di intendere l’intera opera come “un gesto di amicizia, un segno di solidale cordialità verso tutti i giornalisti che, nei vari settori della comunicazione sociale, operano con coraggio, rettitudine e giustizia, per un mondo migliore, al servizio della verità”. Io ho capito che a porsi con coraggio, rettitudine e giustizia, per un mondo migliore, al servizio della verità, è stato anzitutto lui.

Roberto Brunelli